Qual è la giusta frequenza per l’invio delle mail di marketing?

Frequenza email

Quando ci si trova a dover pensare ad una strategia di E-mail marketing di lungo periodo, uno dei fattori da considerare nella pianificazione è la frequenza di invio delle mail.

In una campagna che prevede l’invio di mail, la frequenza tra una mail e l’altra è importante tanto quanto mittente, destinatari e contenuto. Infatti, esagerando in un senso o nell’altro – mandando troppo o troppo poco spesso – si rischia alternativamente di spingere i destinatari all’esasperazione (e quindi alla disiscrizione) o di risultare inefficaci.

Esiste una giusta frequenza? In questo articolo cercheremo di capirlo.

 

Indice

Perché la frequenza di invio è importante

In medio stat virtus?

Trovare la giusta frequenza di invio

Conclusione: esiste una giusta frequenza?

 

Perché la frequenza di invio è importante

Immaginiamo di stare pianificando una campagna di marketing Abbiamo definito accuratamente segmento di invio e il percorso che gli utenti devono fare. Soprattutto, abbiamo creato i contenuti – i testi, le immagini – per cercare di suscitare la giusta reazione nei nostri destinatari.

Esattamente come le grafiche e i testi, la frequenza tra una mail e l’altra è uno di quei fattori – insieme, naturalmente all’orario di invio (che merita un articolo a sé) – che incidono nel determinare o meno la reazione voluta nel cliente.

 

I problemi di una frequenza elevata

Ipotizziamo – caso estremo – di mandare una mail ogni cinque ore, o anche ogni giorno.

In primo luogo, i nostri destinatari non avrebbero tempo (e voglia) di leggerle tutte e metabolizzarne il contenuto, il ché è di per sé già un grosso problema, dato l’impegno profuso nella creazione dei contenuti.

Le nostre mail diventerebbero un rumore di fondo nella vita di tutti i giorni, che è esattamente quello che vogliamo evitare.

Secondo, c’è il concreto rischio di infastidire i destinatari e spingerli attivamente alla disiscrizione. Chi non si è messo un giorno – spinto dalla disperazione – a pulire la propria casella mail dalle tonnellate di spam e a revocare sistematicamente i consensi?

Terzo, se parliamo di offerte e promozioni B2C, c’è il concreto rischio di far scadere il valore dei nostri prodotti agli occhi dei clienti. Perché dovrebbero essere catturati da una promozione, sapendo che ne riceveranno un’altra poche ore dopo?

 

I problemi di una frequenza ridotta

Prendiamo ora il caso opposto. Una mail al mese.

Qui il rischio è di risultare inefficaci perché il destinatario potrebbe dimenticarsi il messaggio, il prodotto, il senso di quello che gli viene comunicato, nel tempo tra una mail e l’altra.

Se inviare la troppa frequenza produce un rumore di fondo, la bassa frequenza è come lungo silenzio interrotto ogni tanto dal cri cri di un grillo in lontananza.

Non certo un paragone lusinghiero per una campagna di marketing che dovrebbe coinvolgere e spingere il cliente all’acquisto.

frequenza invio email

In medio stat virtus?

Potremmo pensare secondo la massima latina che la virtù sta nel mezzo. Cioè, se definiamo come alta frequenza una mail al giorno, e come bassa una al mese, potremmo decidere che una giusta frequenza potrebbe essere una, due mail a settimana.

Tutto sommato è una buona frequenza, ma prendere l’ordine di tempo che sta tra il giorno e il mese è un metodo alquanto grossolano per stabilirla.

La verità è che non esiste una giusta frequenza in senso assoluto, ma esiste una giusta frequenza in relazione al tipo di pubblico, la finalità che si ha in mente, il tipo di azienda, il prodotto o servizio che si vende.

E non c’è modo di definire questa frequenza se non con un approccio empirico.

 

Trovare la giusta frequenza di invio

Approccio empirico, dunque. E quindi test.

Come sempre, nel digital marketing, la soluzione giusta non si trova al primo colpo ma bisogna fare delle prove.

 

Definire un campione per i test

Un po’ come abbiamo visto per i test A/B, bisogna per prima cosa definire un segmento campione che sia consistente in senso numerico, e rappresentativo nella sua composizione.

Esempio: se la campagna per cui vogliamo testare la frequenza è relativa al segmento “clienti dormienti”, non possiamo fare il test su un campione che comprende lead che non hanno mai fatto un acquisto. Non sarebbe un campione rappresentativo, perché la presenza dei lead che non sono mai stati clienti influenzerebbe l’esito del test.

Idem se il segmento fosse troppo piccolo: le variabili individuali (es. il fatto che una persona non abbia ricevuto una mail, o non l’abbia aperta perché è in ferie) sballerebbero completamente i dati producendo percentuali inverosimili.

Se il campione, nonostante tutto, è troppo piccolo in relazione alla dimensione del database, il test può essere fatto anche direttamente sull’intera platea dei destinatari. Bisognerà usare però doppia cautela in questo caso, perché le conseguenze di eventuali passi falsi riguarderanno l’intero database.

In ogni caso, il segmento campione o la platea vanno divisi in due. Una parte sarà oggetto del test, l’altra fungerà da controllo rispetto alla frequenza standard di invio.

campione per test

Definire il tempo

Trattandosi di un test sulla frequenza di invio, è fondamentale definire poi una finestra di tempo utile a raccogliere i dati. Ed è fondamentale che il lasso di tempo sia proporzionato allo scopo.

Ad esempio, se vogliamo individuare la cadenza migliore tra settimanale e bisettimanale per una newsletter, dobbiamo naturalmente prendere in considerazione un periodo di almeno qualche mese per avere dei dati sensati.

Idem se vogliamo valutare la migliore frequenza di invio per una campagna di lead nurturing: probabilmente anche perché qui serviranno più di un campione e un controllo.

 

Definire i KPI

Altro elemento fondamentale per i test sulla frequenza – e per qualunque test in generale – è le definizione di alcune metriche di controllo che permettano di raccogliere, misurare, confrontare i dati in maniera matematica.

Abbiamo parlato diffusamente dei KPI – Key Performance Indicators – in un altro articolo.

Per un test sulla frequenza di invio delle mail ne possiamo prendere in considerazione tre: il tasso di apertura, il click-through-rate e il tasso di disiscrizione

 

  • Tasso di apertura: è la percentuale delle mail aperte sul totale di quelle inviate (Mail aperte / Mail inviate x 100). È sicuramente un dato importante, ma che deve essere preso cum grano salis: quante volte ad esempio gli utenti aprono una mail solo per far sparire una notifica o levare il grassetto dalla propria casella di posta?

 

  • Click-through-rate: qui il CTR è da intendersi come rapporto tra i contenuti cliccati all’interno della mail (dando per scontato che ce ne siano) e il numero di mail aperte (Click unici / Mail aperte x 100). Questo permette di farsi un’idea, a parità di contenuti con il campione di controllo, di quanto incida la frequenza sul coinvolgimento dell’utente.

 

    • Tasso di disiscrizione: sul totale delle mail inviate, la percentuale di utenti che si sono disiscritti (Disiscrizioni / Mail inviate x 100). Si può anche pensare di calcolare il tasso di disiscrizione in relazione alle mail lette, e non sarebbe sbagliato. In fondo una persona che non apre mai le mail perché è un dormiente o ha cambiato indirizzo e-mail inquinerebbe i dati: non farebbe nulla a prescindere, perché tanto non legge le mail. Ma è anche vero che una persona che non apre le mail potrebbe disiscriversi, esasperato dalle notifiche, per il fatto di riceverle: in questo senso basare il calcolo sul totale delle mail inviate permette di farsi un’idea più completa.

 

key_performance_indicators

Conclusione: esiste una giusta frequenza?

Da quanto detto finora emerge chiaramente come la ricerca di una giusta frequenza per l’invio delle mail sia un fatto empirico.

Non c’è modo di saperla prima, e l’unico modo per scoprirla è provare.

Soprattutto – e qui giungiamo alla conclusione – non ce n’è una giusta per tutti: c’è quella giusta – forse – per un determinato tipo di business. La frequenza giusta per il settore Horeca non andrà bene per il settore editoriale, quella per l’E-commerce non andrà bene per un B2B.

E così via.

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